La questione non è religiosa, ma spirituale. Lo scrivo in una sorta di dialogo a distanza a coloro (ho visto dei post ultimamente) che si pongono in modo critico nei confronti dei dogmi delle varie confessioni religiose e poi usano gli aspetti più esteriori di tali dogmi per screditare l’ortodossia (che si tratti di una critica al “no maiale”, al pesce nel venerdì cattolico o al “no crostacei” degli ebrei). Portare il dibattito su questo piano è inutile e deleterio perché, se uno scontro tra scienza e religione ha un senso per l’acquisizione di campo libero in ambito etico (cosa si può o non si può sperimentare), sul piano sociale, in particolare attaccando le manifestazioni rituali più esteriori, si va solo a riportare su altre macrocategorie (laici vs credenti) le strumentalizzazioni tra fanatici delle varie fedi che,  per giustificare interessi materiali o di piccoli gruppi, tendono a raccontare come culturale uno scontro che di culturale ha ben poco (che si tratti di una guerra o di un riconoscimento sociopolitico, come l’entrata nell’Unione Europea). Io sono lentamente e felicemente scivolato in una situazione di totale ateismo dopo una lunga fase di agnosticismo. Confesso che non disdegno di fare, in contesti dove l’ironia viene colta insieme all’affetto e non è strumentalizzata, qualche critica più pungente detta a chi capita, ma indirizzata a chi trasforma quel credo in un piccolo esercizio di potere (all’amica - carissima - e collega di religione): “Dio deve esistere per forza, altrimenti come spieghi tutte queste cattedre di religione?”, oppure “Il 25 dicembre festeggio Voltaire e Diderot e, a chi mi contesta che non sono nati in quella data, rispondo che lo stesso vale per Gesù Cristo”. Non disdegno di fare questo tipo di provocazioni laddove sia chiaro che non pungolo chi crede, ma chi fa del credo altrui un tornaconto personale. Al netto di questo, sono convinto che la questione religiosa nella vita dell’uomo contemporaneo non si esaurisca riportando tutto a un semplice razionalismo perché ritengo che tutti, ma proprio tutti, viviamo (chi intimamente e chi più apertamente) un grande desiderio di trascendere.

Il problema è, e forse l’era del marketing ha aperto più di qualche mente, come far sì che quel desiderio di trascendere venga appagato e non venga strumentalizzato. Quindi alla fin fine, il problema è capire quali attributi "veri" possa avere quell’anelito.

Il soddisfacimento di un senso di giustizia rimandato all’ultraterreno (Camus già lo considerava un passaggio "fallito"), ha ormai un senso limitato e vive il superamento dato da dogmi non religiosi, spesso commerciali (beni di consumo come surrogati di felicità), ma ha spesso ancora una dimensione molto vistosa nella nostra vita, soprattutto in Italia, un luogo in cui con queste leve retoriche si vincono elezioni illudendo molti di essere sempre e "a prescindere" dalla parte della ragione.

La verità, rispetto a questo desiderio di trascendenza che permane in chiunque è, secondo me, molto più banale, anche se non sento più quasi nessuno parlarne a voce alta: il paradiso esiste solo al di qua della morte e risiede in una vita che contempli sempre, costantemente l’idea dell’altro e dei suoi bisogni. Semplificando, il paradiso, e dunque quella volontà di trasfigurarsi in qualcosa che perduri oltre le proprie spoglie mortali, è il semplice sguardo di gratitudine di qualcuno a cui offriamo un aiuto disinteressatamente, che sia un bambino che chiede un chiarimento o un immigrato che viene a pagarci le pensioni e sommessamente chiede diritti e dignità. Mi dispiace che questo sembri poco rispetto alla vita eterna, alla potenza che "move il sole e l’altre stelle", al sedere alla destra di… la verità, semplice, è che manca la risposta dei laici a chi chiede, a chi reclama quel senso di giustizia terrena o trascendenza ultraterrena. La risposta è, secondo me, che il fare del bene al prossimo non è un mezzo per avere dopo chissà cosa, ma è già di per sé il fine.

Poi si può fare anche altro: inventare un robot da cucina o fondare un’associazione culturale, ma fondamentalmente bisogna ragionare sul fatto che l’integralismo inizia con il pensiero strettamente individuale o strettamente familista. Evitiamo le sferzate polemiche e concentriamoci su quali sublimazioni di noi stessi possiamo regalarci qui e ora, affinché non capiti più tanto spesso che qualcuno pensi (tanto per dire): “oh… ora metto su gli addobbi di Natale e dopo con calma vado a rifilare a quel cliente il cambio della scheda elettronica della lavatrice anche se gli basterebbe sostituire un fusibile”.

Un personaggio come tanti (reale), che di questa e di altre magagne ormai non sente neanche più il bisogno di “confessarsi”, tanto quelle due o tre parole in latino le ha imparate a memoria e può persino recitarsele da sé.

 

L'immagine si riferisce a un'associazione a me molto cara che da anni svolge importantissime attività sociali in Brasile.

https://www.facebook.com/associazionepartilhar/

Condivisione e utilizzo dei contenuti