Le città dei ponti.

Le città dei ponti non assomigliano né a Messina, né a Villa San Giovanni, anzitutto perché, nelle città dei ponti, essi non vengono costruiti per “portare sviluppo”, ma per unire persone. Nel loro aspetto più simbolico, infatti, sembrano la Mostar dell'anteguerra o del dopo ricostruzione. Le città dei ponti, nel mio fantasticare quotidiano, si fanno cullare tra le pance di colli docili, dei quali replicano, in scala, le morbide eccentricità.  Sarà la febbre (che oggi ancora ho), ma immagino che si raggiungano infatti dopo un dolce sali-scendi di pendenze e un morbido dondolare di oscillazioni laterali. Le mie città dei ponti ne ospitano di vario tipo: a campata unica, a più campate, sospesi, levatoi, girevoli, ribaltabili, sollevabili e ce ne sono perfino di tibetani. Ci sono pochissime case, tanto che, quasi tutti i ponti non portano in luoghi ben precisi e ciò fa molto divertire i bambini. Questi ultimi guidano infatti i loro genitori capricciosi durante i lunghi giri in bici che costituiscono la principale attività della cittadinanza. La maggior parte dei ponti, nelle città dei ponti, sono ideati da architetti che disegnano bene e vengono costruiti al solo scopo di armonizzare il più possibile il rapporto tra l'uomo e la natura circostante, senza cioè che ci sia un vero bisogno di colmare vuoti o depressioni. Ciononostante, essi vengono realizzati senza inutili sprechi di denaro. Gli abitanti delle città, non usando le auto, non litigano mai per un parcheggio, non fanno incidenti e non si ammalano di esaurimento nervoso, il che va a vantaggio delle strutture sanitarie, di cui infatti, nella città dei ponti, quasi non c’è bisogno. Nelle città dei ponti la frase "andare a vivere sotto un ponte" non evoca affatto lo spettro della povertà, ma semplicemente il ritorno a una condizione di normalità, dal momento che la maggior parte dei cittadini, vive già sotto le accoglientissime arcate. Purtroppo, specialmente in estate, con l'arrivo di migliaia di visitatori, parte della cittadinanza, sacrificandosi volontariamente, si trasferisce nelle poche abitazioni presenti. Queste ultime, edificate in cima a delle latomie, sono collegate tra di loro da lunghe passerelle di castagno stagionato sulle quali si può sostare fino a tarda notte. Ogni città ha un suo pontefice, che non è un canuto ecclesiastico, ma, secondo uno degli etimi più comuni, un umile capomastro. Egli, con l'aiuto di tutta la cittadinanza, pian piano, collega fisicamente le persone e le cose secondo i dettami stabiliti dagli architetti e secondo i bisogni della popolazione, ma soprattutto senza fare economia sulle dosi del calcestruzzo che talvolta utilizza.

Questi pontefici sono molto ammirati da tutti gli abitanti delle città, perché, e ne vanno orgogliosissimi, in tutta la loro carriera non hanno mai costruito un solo muro. Nelle città dei ponti, internet c'è: serve a mettere in comunicazione le persone che abitano in città così lontane che non sarebbero collegabili da ponte alcuno, ma lì, nei loro social, non si parla di come l’orso marsicano cacci topi muschiati nella steppa russa come pretesto per venderti pacchetti vacanza in Kazakistan.

Le connessioni funzionano con ponti-radio (ma questo è un altro discorso).

I governanti non chiedono mai prestiti-ponte a spese dei contribuenti per salvare singole aziende di privati (ma questo è un altro discorso).

Le città dei ponti sono collegate da treni lenti, ma puliti (sui ponti devono rallentare), o eventualmente si possono raggiungere in traghetto (il passaggio-ponte è gratuito).

Per prenotare un soggiorno vacanza (anche per soggiorni brevi o durante i "ponti festivi"), si potrà bloccare un'arcata telefonando anche all'ultimo momento.

Per chi invece volesse ottenere la cittadinanza onoraria, sarà sufficiente presentarsi alle porte della città e mostrare quella sincera curiosità verso il prossimo e verso le cose, la sana curiosità che contraddistingue le belle persone. 

A proposito, grazie della curiosità che vi ha spinto fino a questa riga!

 

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