C’erano Tina (che stava per “Brillantina”), Nelina, Maria la pugliese, c’era Alice col suo tic (quale fosse proprio non si può dire) e poi c’era lei. Al centro diurno per anziani P. la più ambita era E. .
E. non solo aveva un sorriso coinvolgente e sorrideva sempre, ma era anche sofisticata, nel parlare e nel vestire, e sapeva comporre le frasi in modo che tutto quello che diceva suonasse sempre come una provocazione maliziosa, e purtuttavia, la stessa frase, estrapolata dal contesto, perdeva poi ogni potenziale erotico e suonava come la dichiarazione di un agnellino: “eh! Oggi anche la carne ha un costo mica da ridere…”.

Parliamo naturalmente di anziani dagli ottant’anni in su che raggiungevano il centro diurno a piedi se abitavano nei paraggi ed erano ancora autonomi, oppure venivano prelevati a casa da noi obiettori di coscienza in un pulmino da sette posti e lì portati per stare in compagnia per tutto il giorno.

E. era corteggiata in particolare da due uomini, Cesare e Michele. Il primo, un ex operaio ed ex partigiano con un debole accenno di Parkinson, era così certo del fatto suo che pretendeva che gli operatori convocassero la famiglia di lei per comunicare la data in cui E. si sarebbe trasferita a casa sua, e il secondo, un ex artigiano rimasto totalmente solo e caduto in disgrazia, era invece più vago e cercava di convincerla a suon di poesie che Cesare non era adatto a lei perché era uno spiantato.

Se pensate a un triangolo amoroso puramente platonico vi sbagliate: bisognava costantemente impedire che durante il riposino pomeridiano tentassero di alzarsi dal proprio lettino.

Perché, tra tutte, E. era la più ambita?

La ragione è più sorprendente di quanto si possa immaginare: l’Alzheimer di E. era a uno stadio ben preciso, che le impediva di ricordare quello che era successo il giorno prima e così, la donna, ogni giorno, ammiccava verso i due uomini con la stessa genuina e garbata civetteria del primo giorno in cui si erano trovati al diurno.

Per i due uomini era una specie di giorno della marmotta dell’innamoramento, un fantastico modo per allungarsi la vita in un’interminabile altalena di emozioni romantiche alla conquista di una donna impossibile, icona perfetta della vera femme fatale: E. era bella sì, forse più delle altre, ma era soprattutto l’irraggiungibile per la quale, per quanto si sforzassero di mettersi in mostra, i due sarebbero rimasti per sempre degli estranei.

È proprio vero che, dal momento che nasciamo scalciando, continuiamo a scalciare per tutta la vita; personalmente quando penso a quegli uomini, a Cesare in particolare, mi viene in mente l’utopia di Wilde secondo cui la felicità non è avere ciò che desideri, ma desiderare ciò che hai (ammesso che tu abbia qualcosa).

E., comunque, doveva davvero essere stata una bellissima donna, e certamente Cesare e Michele avevano avuto l’occhio lungo. A me l’anziana, a differenza delle altre, non rivolse quasi mai la parola, non mi rivolse mai un saluto gioviale o una frase di circostanza, però guardandomi, in pulmino o nella sala lettura del centro, più di una volta intonò:

è una semplice canzone da due soldi

che si canta per le strade dei sobborghi

e risveglia in fondo all’anima i ricordi,

di una dolce e spensierata gioventù

ed è per questo che oggi conosco questa canzone

(Oltre a qualcuna del Quartetto Cetra).

 

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