Un anno un amico mi disse: "guardando come vivi, considerando, non so, il livello di disordine della tua stanza, credo che ti manchino dei codici paterni".  

Era la seconda camera singola della mia carriera universitaria (la famosa camera singola!!!) in una casa di studenti. A sentire quella baggianata mi misi a ridere: avevo passato molto tempo con mio nonno che era di un ordine e di un rigore maniacale, propri dell'ex militare che era in lui. Mandai il mio amico a cagare... poi negli anni, quest'espressione "codici paterni" mi è rimasta in mente come un cruccio, a volte come un rimprovero, tanto da costringermi a chiedermi spesso, in merito a mille altre questioni, dove potessero mancarmi dei "codici paterni". 

Circa due anni fa ebbi un'illuminazione. Ripensai ad alcune di quelle fasi della vita in cui ti aspetti che qualcuno te ne spieghi passo passo le istruzioni. Ripensai a come, un anno di molti anni fa, avessi eletto a dettame chiave quanto è scritto in questa poesia, che avevo scoperto perché un carissimo amico di famiglia  l'aveva portata a mia madre in uno dei tanti colloqui di lavoro.

Chi ha frequentato la mia stanza a Siracusa sa che lì era appesa, un foglio sgualcito messo anche un po' storto, a dire il vero.
I miei ex alunni, tutti, ne hanno avuto una copia: è sempre stato (ben ordinato e incorniciato) il mio regalo di fine ciclo.

Questi sono i miei "codici paterni".
Chissà se vanno ancora bene per vivere la vita, oggi... 

Naturalmente racconto questo perché ritengo che sia utile sottolineare come la letteratura,  o fuori da ogni etichetta, il leggere e lo scrivere, e la possibilità di attingere a modelli cognitivi dei più vari, non sia mai, semplicemente, qualcosa di "carino". 
Dunque, ancora, grazie M.

Vorrei fare delle letture sul concetto di identità (non in chiave "culturale" o nazionale, ma giusto in chiave personale) se vi vengono dei titoli, vi va di segnalarmeli? 

Se. 

Se riesci a non perdere la testa quando tutti intorno a te
la perdono e ti mettono sotto accusa.

Se riesci ad avere fiducia in te stesso
quando tutti dubitano di te,
ma a tenere nel giusto conto il loro dubitare.

Se riesci ad aspettare senza stancarti di aspettare
o essendo calunniato a non rispondere con calunnie,
o essendo odiato a non abbandonarti all’odio,
pur non mostrandoti troppo buono,
né parlando troppo da saggio.

Se riesci a sognare senza fare dei sogni i tuoi padroni.

Se riesci a pensare senza fare dei pensieri il tuo fine.

Se riesci ad incontrare il successo e la sconfitta
e trattare questi due impostori allo stesso modo.

Se riesci a sopportare di sentire le verità
che tu hai detto distorte da furfanti
che ne fanno trappole per sciocchi o vedere le cose
per le quali hai dato la vita distrutte e umiliarti
a ricostruirle con i tuoi strumenti oramai logori.

Se riesci a fare un solo fagotto delle tue vittorie
e rischiarle in un solo colpo a testa e croce
e perdere e ricominciare da dove iniziasti senza
mai dire una sola parola su quello che hai perduto.

Se riesci a costringere il tuo cuore, i tuoi nervi,
i tuoi polsi a sorreggerti anche dopo molto tempo
che non te li senti più ed a resistere
quando ormai in te non ce più niente
tranne la tua volontà che ripete “resisti!”

Se riesci a parlare con la canaglia
senza perdere la tua onestà
o a passeggiare con i re
senza perdere il senso comune.

Se tanto nemici che amici non possono ferirti
se tutti gli uomini per te contano
ma nessuno troppo.

Se riesci a colmare l’inesorabile minuto
con un momento fatto di sessanta secondi
tua è la terra e tutto ciò che è in essa
e quel che più conta sarai un uomo, figlio mio.

Rudyard Kipling

P.S. La foto (molto personale) è qui per due ragioni. La prima, per interrogarmi: finora sono stato un padre troppo protettivo? No, finora, credo di essere stato protettivo solo quando è stato necessario. La seconda per ringraziare tutti coloro che mi hanno aiutato a esserci e a essere padre (dal Ministero della Pubblica Istruzione in giù).  

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