Dopo aver firmato l’accettazione dell'immissione in ruolo nella sede bolognese dell’Ufficio Scolastico Provinciale, mi presentai in un altro ufficio per la scelta della sede.
Avevo in mano il TuttoCittà.
Era lo stesso TuttoCittà che fino a pochi anni prima avevo usato per consegnare dei plichi in veste di pony express con un motorino completamente scassato, spesso sotto la pioggia, e che mi riempiva i pantaloni di miscela a ogni curva (il serbatoio sotto il sellino aveva in cima un inspiegabile buco). Era esattamente lo stesso TuttoCittà che mi ero portato dietro anni prima per battere a tappeto le strade durante i volantinaggi e il porta-a-porta con M. (poveraccia!).
Erano altri tempi, insomma, non tanto per quanto riguarda alcune forme di precarietà lavorativa, ma certamente per la tecnologia, in un momento in cui un telefono/visore con mappe aggiornate in tempo reale da un satellite era forse solo l’ipotesi di qualche simpatico nerd in un altro continente.
In provveditorato, per brevità lo chiamerò così, noi convocati eravamo tutti ansiosi perché anche se ognuno avrebbe scelto la sede ordinatamente in base al proprio punteggio, non si sapeva quanti fossero gli assenti, quanti i non convocati (ne succedono di tutti i colori), quanti i rinunciatari, e poi, tra i presenti, non si sapeva in quanti ambivano a Bologna Comune, piuttosto che ai comuni limitrofi o ancora a quelli disagiati (questi ultimi, a dire il vero, per niente richiesti). Bisognava essere immediatamente pronti a capire le distanze da casa anche di sedi poco familiari, cogliere l’attimo per indicare la migliore scelta possibile, usando il pensiero veloce, come direi oggi, una cosa che non mi metteva a mio agio e che mi dava la sensazione di essere a una di quelle aste dei telefilm americani in cui, in pochi secondi, per una piccola distrazione, personaggi improbabili perdono una fortuna.
Quando venne il mio turno potei guardare brevemente, su un foglio, le sedi ancora disponibili. Allora, scorrendole con gli occhi, cercai di confrontarle con la mia cartina, e, mentre le sottilissime pagine del Tuttocittà mi si appiccicavano alle dita senza che ci capissi granché, il responsabile dell’ufficio e un altro vincitore di concorso mi sollecitarono con garbo. Così, sebbene vi fossero ancora delle sedi disponibili nell’area comunale di Bologna, un po’ di premura, scelsi Calderara, un paese vicinissimo al capoluogo, che mi ero fissato in mente come compromesso tra una distanza da casa accettabile e la necessità di fare comunque il pendolare.
Pochi giorni dopo presi parte al primo Collegio dei Docenti armato di quaderno, gomma e matita e, anche se qualcuno non ci crederà, appuntai tutto, per filo e per segno, senza capire un accidente di quello che era stato detto e dimenticando il poco che avevo capito appena cinque minuti dopo la fine della riunione.
Poi fui convocato dal Direttore (ancora lo chiamavano tutti così) che mi elencò i posti disponibili all’interno della scuola distribuiti tra i vari plessi, tra le diverse sedi dell’Istituto Comprensivo. Di nuovo un po’ spaesato, scelsi dandomi un criterio lì per lì: la classe. Non volendo partire con una prima in cui i bambini mi avrebbero probabilmente fatto a pezzi e volendo impostare il rapporto finché erano piccoli, scelsi una seconda, accettando quindi di prendere servizio nella sede staccata di San Vitale.
Uscito dalla Direzione mi ritrovai davanti a una decina di insegnanti. Erano gli altri docenti del plesso che mi aspettavano, una cosa che mi parve davvero strana, anche perché, lavorativamente parlando, mi era abbastanza estraneo il concetto di “comitato di accoglienza”. Alcune insegnanti erano pensierose e altre, sorridenti. Per un attimo ebbi il timore che si trattasse di una sorta di spedizione punitiva e mi figurai, fantasticando un po', che volessero convincermi a tornare sulla mia scelta… poi Francesco, un maestro siciliano come me, brizzolato, simpatico e per l’appunto sorridente, si presentò e presentò le colleghe, io feci altrettanto e chiacchierammo per una buona mezzora.
Nei giorni seguenti presi confidenza un po’ con tutti, ma in particolare con quel maestro. Così gli chiesi: “scusa, ma perché avete aspettato che uscissi dalla Direzione per conoscermi l’altro giorno… tanto entro poco tempo ci saremmo visti comunque qui a San Vitale…”.
Francesco sorrise di nuovo e disse candidamente: “No, è che volevamo vedere subito se eri uno stronzo, ma per adesso tranquillo, è tutto a posto”.
A quel punto capii che ero tra amici.
Trascorsi degli anni meravigliosi in quella fantastica piccola scuola in mezzo alla campagna bolognese: una fortuna inimmaginabile, così preziosa che a volte tremo al pensiero di cosa sarebbe potuto accadere se solo quel giorno, al Provveditorato, non mi fossi incartato con le pagine del TuttoCittà.
Così, per dire come a volte la fortuna abbandona gli audaci e premia gli imbranati...