La scuola è un po' come una grande cucina…
anzitutto, sono tantissimi i momenti saporiti, come quel giorno in cui viene da fuori un nonno a raccontare in classe le tradizioni e le specialità del paese ed è proprio con l’alunno musulmano che il sapido vecchietto si impunta sul fatto che del maiale non si butta via niente.
Può capitare poi che ci si dimentichi del galateo del luogo e che una maestra, magari giovane e "gnocca" (sempre rigorosamente nubile), faccia gli occhi da triglia al manzo esperto di motoria, mentre magari una collega un poco più acida assiste non vista alla scena. Nello stesso momento, insegnanti serenamente stagionate nei tanti passaggi di cattedra e tra pesanti Consigli d’Istituto, tènere, tengono a bada certe alunne, ragazzine che trovi ovunque neanche fossero prezzemolo, subito pronte a farcire la situazione di sorrisi maliziosi, perché sono convinte di assistere a una scena piccante.
A scuola per imboccare la strada giusta e non finire in salmì, tra il digerire cinepanettoni natalizi infantili, peraltro pieni di scene sdolcinate, e il sorbirti corsi d'aggiornamento prodotti in serie (dei veri e propri “cotti e mangiati del sapere"), bisogna essere di un’altra pasta e ogni tanto riderci sopra, oppure, se vivi in Emilia Romagna, dire una “cassata” .
A scuola è sempre festa al martedì di quella settimana ogni tanto, quando in mensa servono un hamburger, più bollito che alla piastra e che rischia d’essere l’unico piacere della carne che potresti scoprire nel corso di tutta la tua carriera. Per la precisione quel martedì il tuo turno comunque non comprende il refettorio (ammesso e non concesso che ce ne sia uno…).
Le maestre anziane sono sempre lì a rosolare, chiedendosi se qualche governo anticiperà l’età della pensione (altro che il tempo delle mele) e rosicano quando qualcuna davvero va via, mentre i maestri giovani, ormai senza speranza, spiegano agli alunni che un giorno, all’ennesima lezione sulla H, cadranno in terra come pere cotte perché saranno quasi andati a male e le gambe di pasta frolla non li reggeranno più. Bonariamente precisano subito che a quel punto senza troppo clamore bisognerà chiamare le bidelle perché portino via gli avanzi…
Quella patata bollente passerà poi allo psicologo di comunità e i risarcimenti alle famiglie non saranno noccioline.
Con questo voglio dire che la scuola fa schifo? Tutt’altro, e comunque tra quelle mura "fa schifo" non si può dire quindi al massimo “non mi piace”.
La cruda verità è che le riforme non riformano nulla e questo, dopo anni, fa venire il latte alle ginocchia, per cui si resiste solo assaporando l’attimo.
Molte insegnanti sono alla frutta, i maestri sono cotti, spesso totalmente bolliti e il loro grano a fine mese è così poco che si nutrono come uccellini, sono smunti, spolpati, ridotti all'osso. Tra stipendi da fame e riforme nuove e contrapposte a seconda del nuovo chef che, praticamente ogni sei mesi, arriva al ministero, i prof si ritrovano impiattati nel burnout in crosta di cartacce con contorno di malesseri assortiti. Se una volta erano cotti a fiamma bassa, ora sono bruciati in meno di quattro cicli.
Non voglio mettere troppa carne al fuoco e sono contento di quanto presenta l'altro piatto della bilancia: i bambini sono deliziosi ed è un privilegio lavorare ogni giorno con la parte buona della società. Questo è di certo grasso che cola e sembrerebbe che in questo mestiere si prendano due piccioni con una fava. È vero, infatti, che a scuola ci sono ancora stabilità e dignità, due piatti forti sempre più spesso fuori menù negli altri mestieri. È vero, dicevo, ma con alcune precisazioni...
primo: una tale magra economica ti rende un debitore a vita.
Voi di certo consiglierete: “meglio un uovo oggi che una gallina domani", ebbene, ditelo a chi mangia uova da quindici o vent'anni ed è solo a metà carriera. A fronte delle scottature a livello stipendiale, nella vita di ogni giorno, non passa solo l'uva (peraltro di rado), passano anche gli anni, e molti in una fiammata.
Il problema poi non è solo l'essere sempre a stecchetto: l'aspetto emotivo è difficile da sviscerare e non bisogna snocciolare giudizi troppo alla leggera. E quindi, appunto…
secondo: questo è un lavoro che sfibra. I bambini sono sempre assetati di attenzione e qualche volta affamati di affetto, e in queste nostre classi rimpinzate di alunni, le richieste e i bisogni si moltiplicano per 24 o 25.
Certo, quando si ottiene il ruolo si è in brodo di giuggiole, un entusiasmo che spesso scarseggia sulle tavole degli altri lavoratori. Ben presto però si inizia a nutrire più di un dubbio sulla possibilità di riscaldare senza conseguenze la stessa minestra per tutta la vita. Il tempo di cottura è molto breve e a quel punto si scopre di essersi stufati.
Si cerca allora di preparare le attività con qualche variante, anche se in fondo si ha sul piatto poco più del solito. In molti allora presentano lezioni scomposte per agevolare i poveri agnelli che sono intellettualmente sempre meno nutriti; i contenuti, tuttavia, se non son zuppa, son pan bagnato.
Qualcuno tenta di ingoiare questo boccone assumendo anche altri incarichi, non ultimo quello di riferire ai colleghi gli importanti fatti relativi alla mensa… una vera pizza. Anzi no, una sbobba burocratica che, a dire il vero, non fa gola a nessuno.
Con l'abbuffata di mansioni, arriva anche l’indigestione, pagata con poco più di un tozzo di pane. Il conto è salato sul fronte della salute: le malattie di testa abbondano tra i docenti (mentre la spalla e la coscia, invece, dolgono meno delle corde vocali).
Spesso disgusta il fatto che i genitori abbiano sempre più il coltello dalla parte del manico... le incomprensioni abbondano tra reciproci pregiudizi che quasi sempre sono solo l'antipasto di infinite lamentele, se non addirittura assaggi di botte (con porzioni più abbondanti al sud). Gli eccessi di burocrazia, mal digerita dalle famiglie, sono quasi sempre presentati per dovere dai docenti, messi lì a fare da guanciale tra la base di un insipido ministero e un’aspra riduzione di realtà. L’informatica obbligatoria fu il piatto del giorno, i computer li andarono a raccogliere le maestre nei campi della Silicon Valley.
La forchetta, tra la riforma del giorno e le risorse per attuarla, lascia l’amaro in bocca. Comprensibilmente mal predisposte ancor prima di sedersi al tavolo, le insegnanti non hanno spesso l’appetito minimo indispensabile per alimentare il dialogo e, temendo di venir divorate dall’interlocutore di turno, si astengono spesso dal commentare (anche con delicatezza) o evitano una battuta gustosa che porterebbe qualche grassa risata e stempererebbe almeno le situazioni più roventi.
Capita a volte che si insinui che il docente stia imbeccando gli alunni su faccende delicate, e questo anche se ha servito loro giornali molto differenti tra loro. In questi casi si usano parole di burro che spesso non prevengono le purghe ministeriali.
Poi, un giorno, entri in classe e devi mandar giù l’aspro sfottò condito da acidi sghignazzi di un alunno ubriaco di sé. Tu dall’alto della tua esperienza lo immagini un giorno impreparato alle prese con la vita e nella vana illusione di intimorirlo, rispondi con scemenze come: “Adalgisio ricorda! Tanto va la gatta al lardo che ci lascia lo zampino!” oppure, peggio ancora, "ridi, ridi, che la mamma ha fatto gnocchi!".
Ovviamente al contrario, per tua stessa naturale contentezza, tutta la sua vita andrà liscia come l’olio e tu penserai che il suo successo sia anche merito tuo.
La ciliegina sulla torta è il rientro a casa dopo un lungo collegio: hai gli occhi da pesce lesso, tua figlia deve ancora fare i compiti, tua moglie ti mostra la multa salata che hai preso giorni prima perché temevi di arrivare tardi in classe e per cena mangerai riso in bianco perché gli alunni, a cui vuoi un bene che speri possa valicare i miseri cinque anni curricolari, invariabilmente, ti hanno attaccato un virus gastrointestinale.
Manca qualcosa? Sì… se si aggiunge un velo di agrodolce malinconia, l’insegnante è servito.
Buon appetito.
Parlerò in faccia, a muso duro e fuori dai denti. Occorre che prendiamo questa situazione di petto. Bisogna avere i nervi saldi e la testa sulle spalle, e che siano larghe. Ci vuole sangue freddo... insomma bisogna essere persone in gamba. Bisogna andarci con i piedi di piombo, ma a cuor leggero, e smettere di alzare il gomito, cioè, smettere di ubriacarsi di potere, di montarsi la testa, tanto da perdere la visione d'insieme, rischiando di vomitare ingiurie o bestialità, nel cuore della giornata, o quando il mattino ha l'oro in bocca...
Ci vuole il pelo sullo stomaco, ci vuole il pugno duro, di ferro. Non devono tremare i polsi, frullare le idee e accavallarsi i nervi, non bisogna lambiccarsi il cervello ed è meglio che le gambe non facciano Giacomo Giacomo. Bisogna fare le cose mano mano, procedendo passo passo, ma mai finire pelo pelo, specialmente in un testa a testa. Non si può tenere un piede in due staffe e, anzi, bisogna stare con due piedi in una scarpa. Attenzione a non fasciarsi la testa prima di rompersela, neanche con un fascio di nervi: non facciamo passi falsi. Poi smettiamola di guardare il dito e non vedere la luna, magari scoprendo il fianco... no, bisogna avere l'occhio vivo, (mai la mano morta!), e poi bisogna avere naso, per nasare la magagna o avere fiuto per gli affari, per tirare il fiato e un sospiro di sollievo. Bisogna abbassare la cresta, dimenticando di avere un diavolo per capello, mentre con la pelle d'oca, che si accappona, non ci lasciamo più scivolare addosso se ancora qualcuno dice che tira piu un pelo di fi*a: questo non si può più sentire. Non dobbiamo aprire la bocca e dare fiato, farci mettere in ginocchio o crollare come il gigante dai piedi di argilla, con le farfalle nello stomaco e i grilli per la testa, e ancora: no all'occhio che balla (cosa balli, poi, non si è mai capito), no all'acqua in bocca, no al macigno sullo stomaco, e al cerchio alla testa, alla bocca riarsa (e che ne è stato dell'acqua in bocca?), no al cuore in gola e al groppo, anche lui, in gola (e quindi, in pratica, smettiamola di ingoiare il rospo). Poi smettiamo di puntare il dito, con le budella attorcigliate, aggrovigliate e arrovellate, basta col buco nello stomaco (sospetto che sia colpa del macigno), cercando di avere fegato, di toglierci il sassolino dalla scarpa e di scacciare la morte dal cuore, senza dare colpi bassi e senza sbattere sempre i tacchi, altrimenti la prendi nei denti, ti cascano le palle a terra, e finiscono nell'ombelico del mondo. Bisogna cantare, elevarsi, non strisciare, smetterla di dire "ho le mani legate", smettere di abbaiare alla luna (che tanto non vedi perché stai guardando il dito) e quindi non farsi cadere le braccia, nonostante si abbia un tarlo in testa che è la spina nel fianco dei grilli di prima. Questi grilli, tra l'altro, hanno i nervi a pezzi, o a fior di pelle e ossa, e per questo sputano sangue e sentenze, e sgranano gli occhi o li fanno dolci, mentre la pancia si lamenta, certamente di quelli che hanno sempre culo, perché la fortuna è cieca, o spesso di chi ha il culo al caldo alla faccia degli altri che, con l'acqua alla gola, le ginocchia che tremano e le borse sotto gli occhi, invece di scappare a gambe levate, portano il mondo sulle spalle, e, prima che crolli loro addosso, tra capo e collo, smettono di mordersi le labbra e sputano il rospo, e quindi a lingua sciolta, quasi senza fiato, fino all'ultimo respiro, ma con ancora un nodo in gola, anche se passano per quelli senza spina dorsale, (perché troppe volte qualcuno ha messo loro i piedi in testa e a loro non basta più stare fianco a fianco), fanno il passo giusto o uno scatto in avanti e con l'occhio lungo iniziano a guardare lontano. Ma attenzione: non si può perdere la testa e non stare nella pelle, gli occhi non escano dalle orbite, anche quando una brutta moda prende piede, tra le persone di un certo peso, di un certo spessore e persino tra quelle tutte d'un pezzo, che ridono a denti stretti e più spesso sotto i baffi, e ti dicono di baciarti i gomiti. A questi, che ti guardano dall'alto in basso e ti mettono i bastoni tra le gambe, bisogna dire forte e chiaro di levarsi dai piedi, di andarsene di corsa o a passi lunghi e ben distesi, perché sono lì in bella posa solo a spremersi le meningi su come farsi venire gli occhi lucidi quando un fotografo butta un occhio su di loro anche se hanno già le lacrime in tasca. Sono loro che hanno in testa il chiodo fisso di parlare alla pancia della gente, per poi, a guardar bene, restare con le mani in mano o addirittura farti lo sgambetto. È proprio questo loro colpo gobbo a far rivoltare le budella. Guardate, voglio dirlo in punta di piedi, consapevole che la lingua batte dove il dente duole: queste persone hanno ormai la puzza sotto il naso. Hanno la pancia piena, e hanno scordato come essere una spalla su cui piangere. Non sanno più dare una mano a quelli che non stanno sulle proprie gambe, che magari hanno ancora le braccia buone e certamente tante bocche da sfamare, quelli che sono lì col culo a terra, mentre gli altri li guardano di traverso o ancor peggio neanche li cagano. Il privilegio di far venire alla gente un tuffo al cuore: questa sia l'idea fissa. Aprite gli occhi, e visto che viviamo nel ventre molle della democrazia, almeno noi, stiamo al fianco di chi, ancora candido come il sedere di un bambino, è rimasto a bocca asciutta. Balliamo guancia a guancia con chi ha le spalle al muro, e ficchiamoci in testa il fatto che sempre meno persone oggi cadono tra le braccia di un politico e men che mai pendono dalle sue labbra.
I socialdemocratici dell'etere si chiedono perché.
Perché?
Qualcuno, a testa alta, anzi, certamente una spanna sopra gli altri direbbe senza pensarci:
"Perché ci vuole orecchio...".
Eccheccazzo.
(da un'idea di Luca e Matilde Aiello)
- Perché mi hai cercato? Non ti è bastato essere uno stupido allora? E poi non ti è bastato oggi?-
- Ma era solo un piccolo saluto, un momento nostro... dopo quelle chiacchiere rubate davanti agli... -
- Non c'era bisogno.-
- Era solo un messaggio, davvero non ti ha fatto piacere? -
- Ripeto, non c'era bisogno, è stato inopportuno. -
- Dopo tanti anni, mi sembrava bello che restasse scritta un'impressione. O forse no, non era solo un... -
- Non era necessario -
- È solo che faccio ancora delle cose perché sento di... ma ho sbagliato? -
- Che significa che "forse non era solo"? Tu non sai proprio dire la verità... -
- No no, so dirla eccome. Quando mi è chiara e quando ce l'ho presente... ma il punto è che tu non vuoi la verità, tu vuoi una risposta!-.
- Sì vabbè... -
-Cosa? -
- Dimmi. Sono qui che aspetto ... -
- La verità è che ti immagino capace di commuoverti con me, se leggo un passo stupendo da un testo, anche solo una frase che potrei leggere e che vorrei fosse di entrambi. -
-Tutto qui? -
- Cosa dovrei aggiungere...? Vuoi che ti dica dell'amore che ho? Vuoi sapere dell'amore che rimpiango? Che ti dica cosa manca? Posso dire di cose che non conosco e su cui fantastico? Vuoi sapere di quanto io l'ami? Vuoi che ti dica quanto ancora vorrei innamorarmi? Del timore che questo sia null'altro che una specie di... di singolarità... un flare del sole? Devo dirti che vorrei sapere cosa pensi di molte delle cose a cui accenni, tra le cose che scrivi e che leggo ? Oppure che non potrei mai vivere lontano da mio figlio e dalle mie nipoti? Che mi chiedo ancora come avrebbe potuto essere tra noi, foss'anche solo perché tra noi ci fu un bacio e nient'altro? Che mi fa impazzire il velo di malinconia sotto il tuo...?-
- Basta così. Sì sai, un bacio di troppo...-
- Un doppiogioco infantile.-
- E ancora te ne vanti?-
- Non me ne sono mai vantato, a dire il vero.-
- Allora mi fece ridere tantissimo. Mi sembrò una follia scema, inaccettabile e sincera. -
-Allora cosa vuoi, una risposta, o la verità? -
- La verità.-
- La verità è tutto quel groviglio di cose. Più il fatto che non voglio far male a nessuno. Questo l'accetti? No, non dirlo. E comunque, no, non mi pare... eppure mi sembrava sensato salutarti da sola, nel privato di un breve messaggio, avendoti rivista dopo tanto.-
- E se invece ti avessi chiesto una risposta, allora, che cosa mi avresti detto? -
- Una stronzata, sta' sicura... qualcosa che potrebbe somigliare a "ehi, no, no, C., hai frainteso... non penserai che voglia riprovarci dopo così tanti anni...?" -
- Già, perché invece vorresti leggermi passi commoventi dagli strani libri che leggi? Ma vaffanculo...-
- Lo vedi...-
- Cosa?-
- Neanche tu sai bene se vuoi una risposta di comodo o una verità...-
-E allora? Sei solo stato inopportuno e divertente. -
- Ti manderò delle pagine, poi tu deciderai. -
- Cosa? -
-Se varrà la pena di commuoverti, di ridere o di mandarmi a...-
- E quindi sei alla ricerca... di cosa?-
- No, io non cerco, però vorrei trovare.-
- Sei solo inopportuno e divertente-
-Invece io ho sempre in mente il tuo sorriso.-
-È la verità?-
- Certo, come il resto di quel garbuglio.-
- Ci si potrebbe abituare.-
-A cosa?-
-Alle pagine dei libri.-
- Davvero?-
- Quindi?-
- Quindi bisogna che io ricominci a leggere...-
-Questa è la prima buona idea di questo stupido dialogo immaginario...-
- Grazie, mi incoraggi. -
- Figurati. -
- Cioè?-
- Sei solo inopportuno. -
- Sì, ma divertente.-
- è da vedere... intanto tu ricomincia a leggere... -
- Certamente...-
- E scrivimi. Già che lo dici, fallo.-
- Certamente -
- Quindi, tu dici: la verità è sempre complessa, e noi la vogliamo semplificare al punto che...-
-Che potrebbe non essere più la verità ...-
- Allora può anche starci dentro il fatto che ci stai riprovando dopo tanti anni? Così, senza pensarci? -
-Forse, sì...-
-E perché?-
-Perché anche la non scelta è una scelta e non volevo lasciare tutto al caso...-
- Ma che stronzate... queste te le pensi la notte...-
-Sì, anche... -
- Comunque davvero rivederti è stato bello...-
- Vuoi dire che davvero scriverai? -
- Ti manderò delle pagine.-
- Proverò a leggere senza farmi domande...-
- Perché senza farti domande? -
- Per non dovermi poi aspettare risposte che non siano la verità... -
- Sì , o che lo sono solo in parte... oppure, ancora, che sono solo una parte del groviglio. -
- Quindi non volevi cadere nella non scelta?-
-Sì-.
-Sei ancora inopportuno -
- E divertente... e sì, in un certo senso sì...-
- Cosa? -
- Ne riparleremo se avremo occasione. -
- Ormai, visto che non hai fatto cadere il tutto...-
- Avrei dovuto? -
- Ancora ci provi...? Voglio che tu a me la lasci... a me lascia la possibilità di non scegliere. Chiaro?-
- Sono stato inopportuno, scusami...-
- Sì, ancora una volta. Però tu scrivimi. -
-Lo farò. -
-Anche questo è ancora da vedere...-
-Allora lo vedremo-
-Bene, allora...insomma... adesso...-
- Sì è vero...-
- Un'ultima cosa...-
-Sì...-
-Quella storia della verità, quella che a semplificare una verità si rischia che non sia più tale, vale anche per tutto il resto? Voglio dire, vale anche a parte noi? -
- Cioè la gente, o, non so, la libertà, la...?-
-... hai capito...-
- Anche su questo, vuoi una risposta o vuoi la verità? -
- Lascia perdere.. . -
-Ehi C., sono le scelte ad essere bianche o nere, la verità invece... -
-Non ne sono affatto convinta... -
-Addio allora...A presto...-.
- Sì a presto. -
- Addio...-
*
L' Istituto di Statistica FIELIO ha da poco rilasciato un bollettino degli HTT del momento. Per chi non lo sapesse si tratta dei topic su cui conviene battere nei post dei propri profili social per aumentare il numero di followers.
Secondo l'Istituto FIELIO (FIELE-LIVORE-ODIO) conviene che, per fidelizzare nuovi followers, si insista con un odio viscerale contro i seguenti Hate-Trend-Topics (in ordine di importanza):
1°i gatti,
2,° quelli che odiano i gatti,
3° quelli che lucrano fingendo di odiare quelli che odiano i gatti,
4° i cani,
5° i cani che non odiano i gatti generando confusione in chi ragiona a comparti stagni,
6° i cani che mordono gli uomini che idealizzano tutti i cani solo perché alcuni non odiano i gatti,
7° gli uomini che mordono i cani che non odiano i gatti perché "scusa, se sei strano tu allora io che
sono figlio di nessuno?" ,
8°i figli di Nessuno cioè Telemaco e Telegono,
9° I figli di papà,
10° I figli di buona donna,
11° i figli di un cane amato dai gatti che odiano i figli di papà,
12° i finti statisti che stilano finte classifiche sugli hate trend topic per manipolare i social su quali
debbano essere i trend topic (non cielo dicono)...
Già pronti i politici a strumentalizzare tutto lo strumentalizzabile mentre da Roma Pasquino commenta:
"Aho, che nun ce bbastavo io? Miaone attutti."
Sul prossimo bollettino degli HTT a furor di statistica: Pasquino nella lista.
L'elenco (rigorosamente finanziato dalle osterie della zona) sarà disponibile nelle prossime settimane.
Con l'occasione , miaone a tutti.
*
Alcuni dei grandi giornali nostrani,
ci servon da tempo dei gran "minestrani"
che al posto di orzo, zucchine e fagioli,
presentano a caso concetti geniali,
"guinziglio" parrebbe un guinzaglio al coniglio,
coetaneo e Gaetano diventan "'coetano",
la pioggia di errori dà "stumidità",
che le ossa e la lingua ammalare farà.
I titoli grossi fan vendere tanto,
di errori ne fanno un milione soltanto,
poi leggi e non c è "La caduta del regno",
ma solo la comica fine del ragno.
Invece di vendere articoli a peso,
se almeno qualcuno curasse la bozza,
non mi troverei con il fiato "sorpreso"
e non ci sarebbe in agosto "bonazza".
Tornare al cartaceo sarebbe stranezza,
nel dubbio m'informo guardando il buon Crozza,
che quando i decreti son tanto piccini