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"Ogm" è un brevissimo monologo scritto a caldo durante il primo lockdown. Non vi è azione, né didascalie sceniche perché ne era prevista la lettura davanti ad una webcam nell'ambito di un concorso indetto dal Nuovo Teatro San Paolo in Roma intitolato "Belli chiusi" in cui il testo è stato selezionato tra i finalisti. Gli ogm a cui si fa riferimento nel titolo, naturalmente, siamo noi tutti, noi che abbiamo creduto alla narrazione di una globalizzazione capace di risollevare le sorti dei paesi più poveri, noi che poi l'abbiamo  realizzata secondo criteri neoliberisti per  i quali quel sogno, semplicemente, si è tradotto, spesso, in nuove forme di sfruttamento.

Nel 1986 Milan Kundera scriveva nel saggio "L'arte del romanzo": 

«Che la vita sia una trappola è una cosa che abbiamo sempre saputo: siamo nati senza averlo chiesto, rinchiusi in un corpo che non abbiamo scelto e destinati a morire. Lo spazio del mondo, invece, offriva una permanente possibilità di evasione. Un soldato poteva disertare e cominciare un'altra vita in un paese vicino. Nel nostro secolo,   il mondo si è improvvisamente richiuso su di noi. L'evento decisivo di questa trasformazione del mondo in trappola è stato indubbiamente la guerra del ‘14-’18, chiamata (per la prima volta nella storia) guerra mondiale. Falsamente mondiale. Riguardava soltanto l'Europa e per di più non tutta l'Europa. Ma l'aggettivo “mondiale” esprime tanto più eloquentemente la sensazione di orrore davanti al fatto che, ormai, nulla di quanto accade sul pianeta sarà mai più una faccenda locale, che tutte le catastrofi coinvolgono il mondo intero e che, di conseguenza, noi siamo sempre più determinati dall'esterno, da situazioni cui nessuno può sfuggire e che ci fanno sempre più simili gli uni agli altri.»  

Questa pandemia ha perfettamente confutato quanto pensava Kundera in quel frangente. La frase "tutte le catastrofi coinvolgono il mondo intero" era probabilmente allora un riferimento ai rischi che correva il mondo in quel periodo di "guerra fredda", mentre oggi abbiamo dovuto affrontare le storture di una globalizzazione fatta male, ma, a parte questo, il principio (la nostra globale interconnessione) è il medesimo.

Nei giorni in cui scrivevo questo breve monologo, mentre tutto il mondo viveva con sgomento il primo diffondersi della malattia, feci una lettura attenta dei giornali economici, cercavo qualcuno che entrasse nel merito, qualcuno che scrivesse: "abbiamo sbagliato, bisogna che questa totale interconnessione abbia innanzitutto una valenza umana, che coinvolga i diritti, oltre che i profitti". Non trovai un solo articolo che riportasse qualcosa di simile, tra le testate economiche e semplicemente ci si interrogava sulle future modalità produttive pronosticando la nascita di cicli produttivi diversificati e non univoci, per prevenire nuovi blocchi delle varie produzioni.

Tutto ciò che è accaduto e che sta ancora avvenendo, invece, dovrebbe servirci da monito, a maggior ragione per il fatto che nuovi recenti studi propongono delle deleghe di poteri ad organi sovranazionali (mondiali?) per alcune questioni molto importanti. La nuova "visione" è affascinante, (quanto la globalizzazione ventilata negli anni '90) ma, alla luce di come sono andate le cose fino ad ora, bisogna chiedersi se essa sarà realizzata a vantaggio di tutti, o se servirà solo a far crescere il potere di poche e sparute élitès.

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